REDAZIONE SPORT - a cura di Vito Diglio, Leonardo La Salvia, Salvatore Bove e Vincenzo Pozzozengaro
Adriano Leite Ribeiro,
l’Imperatore che si autodistrusse
Di Vito Diglio
La carriera di Adriano
Leite Ribeiro è stata un romanzo di un giovane povero che dalle favelas
brasiliane è arrivato in Serie A per diventare l’Imperatore. Vita e parabola
del calciatore brasiliano che fece sognare l’Inter
Adriano, tutto inizia in una favela in Brasile
Adriano
Leite Ribeiro nasce che è già il più forte di tutti. Ha un
fisico statuario, delle gambe da terzino ma una potenza mai vista in un ragazzo
del genere. Cresce in
una favela, il che sembra quasi uno stereotipo per chi non è
brasiliano. E proprio in quella favela vive con il padre Almir Leite Ribeiro, solo
una ventina d’anni li divide, sono quasi come fratelli. Almir vuole che il
figlio sfondi, Adriano non si distaccherebbe mai dal padre: solo pochi anni
prima lo ha visto prendersi una pallottola in testa in uno scontro a fuoco in cui
Almir è finito per caso. Da quel giorno Almir
vive con quel proiettile conficcato nel cranio e Adriano
ha giurato che non lo lascerà mai. Il padre lo va a vedere quando può, la
strada per il successo è in salita e la famiglia non può permettersi di spendere
troppi soldi per assecondare i sogni di Adriano. Fa come molti della sua età e
della sua zona, si sposta con i mezzi, non è quasi mai a casa e si divide tra
la scuola e il campo di allenamento. Fa il terzino, ma difende male. Al Flamengo decidono di
spostarlo più avanti, perché è alto e si sta irrobustendo. È la mossa più
giusta da fare, quella che segna la sua carriera in positivo. Esordisce in
prima squadra a diciotto anni e a fine stagione ha già segnato dieci gol, molti
con quel sinistro fulmineo. Adriano è molto religioso, così come papà Almir,
benedice il cielo ogni volta che scaraventa in rete uno dei suoi famosi tiri di
collo pieno. Ha una forza sovrumana Adriano, e al Flamengo decidono di affinare
la sua tecnica. Anche qui i signori del Mengo. C’è chi giura di vedere Adriano in allenamento saltare cinque
avversari e sparare in porta tiri che sembrano fatti da una macchina,
tanto sono potenti. A Milano lo
tengono d’occhio, passa dal rossonero al nerazzurro. Va all’Inter, si separa dalla
famiglia e dalla favela. Certe cose però uno se le porta sempre dietro.
Adriano sbarca in Serie A: Inter,
Fiorentina e Parma
Adriano
tira una punizione che spacca la traversa, tocca la parte interna e scende
oltre la linea di porta. È un’amichevole quindi si esulta poco, ma più che lui
stesso a gioire sono i compagni e i dirigenti. L’Inter al Bernabeu ha appena
battuto il Real Madrid 2-1
con un tiro da fermo di Adriano al novantesimo. Il primo sussulto non
convince Cuper,
che tende a tenere il ragazzino diciottenne in panchina, salvo poi metterlo a
partita in corso. Ancora al novantesimo, ancora con un sinistro imparabile:
così Adriano si presenta a San Siro, segna il due a uno in Inter–Venezia e torna
dietro a Vieri, Ronaldo, Kallon e Ventola nelle
gerarchie nerazzurre. Non assiste allo scempio del 5 maggio, è impegnato in
prestito alla Fiorentina con
cui segna parecchio ma scende in Serie
B. Indossa la maglia numero 90, come l’anno in cui Almir viene
colpito dalla pallottola. A fine stagione ha vent’anni, m a gioca come un
veterano. Il Parma lo
prende in compartecipazione e con Mutu diventa
il giocatore più temibile di tutta la Serie A. Quel Parma vola, la maglia
gialloblu svolazza sulle sue fattezze. Prende palla in ogni zona del campo,
lascia andare conclusioni che i portieri possono parare solo con la forza dello
spirito. Al Tardini segna
tanto, la Parmalat si mette di mezzo e lui torna all’Inter e torna grande. Lo
chiamano L’Imperatore,
con tanto di articolo determinativo. A San Siro lo adorano come si adorano i
regnanti, pendono dalla sua corsa in progressione.È uno degli attaccanti più
forti del mondo. Nel 2004 però papà Almir muore, la notizia lo raggiunge poco
dopo aver vinto la Copa
America, mentre Adriano vola verso Bari con la sua
Inter.
Qualcosa cambia in lui da quel momento.
Inizia il declino dell’Imperatore Adriano
Adriano continua
a segnare come un ossesso ma ogni tanto incappa in momenti di scarsa lucidità.
Nel settembre 2004 incontra l‘Udinese e
vince da solo in tre minuti: incurva il corpo e impatta la palla su punizione
come sa fare lui, la sfera gira e rientra a battere De Sanctis sul
secondo palo; in contropiede fa secchi da solo tre difensori e ancora una volta
scarica in rete con una violenza catartica, purificatrice. Sembra voler lavare
l’anima dai peccati quando calcia verso lo specchio. Una volta arriva il Palermo al Meazza e lui non
segna, si limita a fare il tiro in porta più potente della storia della Serie
A. Da trentacinque metri calcia quasi da fermo, manda il cuoio sulla traversa e
il rinculo lo ributta indietro quasi all’altezza di Adriano. In tutta Milano si
sente un suono sordo. In Italia, in Europa, con il Brasile, Adriano segna
sempre, è decisivo. Poi però iniziano le bravate, dopo la morte del padre il
suo cervello non è più lo stesso. Fa a pugni con Caneira in Champions League, non si
presenta gli allenamenti e quel fisico perfetto si arrotonda leggermente.
Girano foto con troppe ragazze, troppo alcol, troppo tutto. Sta più nei privé
che in campo, lo si vede sempre meno con la maglia dell’Inter e le voci che
nascono in quel periodo sono terribili, una la racconta la pornostar Edelweiss e Adriano
non ne esce bene. Massimo
Moratti è un padre per molti giocatori dell’Inter,
soprattutto quelli sudamericani. Li vizia, li coccola, li difende. Lo stesso fa
con Adriano, che si vede libero di compiere qualsiasi atto gli salti in testa.
I rapporti con mister
Roberto Mancini però sono sempre più tesi, per non parlare di quelli
con gli avventori dei locali che frequenta. Fa a botte con Howell, cestista di
Varese alto due metri e rotti. A Milano cominciano a non averne più, parlano
di saudade, lo
spediscono a San Paolo.
In Brasile torna a segnare, poi rientra In Italia e Mourinho non lo
vuole. Di nuovo Brasile, poi Roma e
un circolo vizioso di esperienze tutt’altro che indelebili. Ingrassa, si
deprime, beve più del dovuto. Si autodistrugge.
Adriano e il ritorno in Brasile
Adriano
però mantiene sempre quel volto trasognato che aveva anche quando da ragazzo
prendeva l’autobus per andare agli allenamenti. Smette con il calcio ma mai
ufficialmente, c’è chi pensa al peggio ma la depressione non se lo porta via.
Lo porta sull’orlo dell’obesità, questo è certo. Lo porta sulle spiagge per i
festini, perché l’unico modo per non affogare in una dipendenza è non rendersi
conto che sia davvero una dipendenza. Vogliono che si alleni ma lui, ormai
sferico, si rilassa a Copacabana,
a Leblon,
a Ipanema.
Il Brasile è la sua terra, da nessuna altra parte può scialacquare il suo
innato talento come fa qui. Ripensa
a quando era Imperatore, L’Imperatore. Si dà un’occhiata al piede
sinistro, nemmeno quello si è salvato dalle sregolatezze della sua nuova
vita. Secondo la stampa brasiliana l’ex Imperatore oggi vivrebbe
nella favela Vila
Cruzeiro, una tra le più povere e pericolose di tutta la città
dove dovrebbe addirittura pagare una somma per avere protezione da una
gang locale, la Red
Command. Era già successo n passato che Adriano era stato fotografato
con gang locali, con mitra, pistole e impegnato in festini.
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